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mercoledì 18 aprile 2012

Gli orsi impazziti di Yellowstone - The Big One

 

Terremoti: Ring of Fire, la grande polveriera

A differenza del 26 dicembre 2004, stavolta l'onda anomala non c'è stata. L'Indonesia, e il mondo intero, hanno tirato un sospiro di sollievo.
Tuttavia, mentre l'attenzione globale era concentrata sul terremoto di magnitudo 8,6, a largo di Sumatra, e sulle sue potenziali catastrofiche conseguenze, è sfuggito a tutti che non si è trattato dell'unico sisma di una certa grandezza intervenuto in quelle 24 ore.
Nell'arco di un giorno se ne sono registrati almeno altri quattro:
- Messico, stato dMichoacan 7,0, terzo in ordine di intensità solo nell'ultimo mese;
- sempre in Messico, Golfo della California, 6,9;
- costa dell'Oregon, 5,9, nessun danno segnalato;
- costa di Honshu, Giappone, 5,6, non lontano da Fukushima;
Cosa hanno in comune tutti questi eventi, all'apparenza lontani tra loro? Sono tutti localizzati lungo il cosiddetto Ring of Fire dell'oceano Pacifico. Nome macabro e poetico allo stesso tempo, e in effetti un po' entrambe le cose. Una regione del mondo dal perimetro di oltre 40.000 km, che va dal Cile per proseguire lungo tutto la costa ovest del continente americano e poi in quella orientale del contiente asiatico, comprendendo Giappone, Filippine, Indonesia per poi toccare anche Australia e Nuova Zelanda. Qui si sono verificati l'81% dei maggiori terremoti e il 90% di quelli totali censiti dove sono seduti, e dove si trova il 90% dei 1500 vulcani attivi al mondo.
In quest'area, diretto risultato del continuo movimento piastre litosferiche, le attività geologiche sono così intense da essere state identificate e descritte ben prima che la stessa teoria delle tettonica delle placche fosse formulata.
Qui sono avvenuti alcuni dei più grandi sismi - i cosiddetti megathrust earthquakes - che gli esperti ricordino, come quello di Valdivia del 1960 (magnitudo 9,5; provocò 5000 vittime). Qui hanno avuto luogo anche le eruzioni più disastrose: quelle dei vulcani Tambora (1815), Krakatoa (1883) e soprattutto Toba (ca. 70.000 a.c.), che secondo un'accreditata teoria avrebbe portato l'umanità ad un passo dall'estinzione.
Secondo i dati del National Geophysical Data Center, il trend dei terremoti nella regione di magnitudo 6,0 o superiore è aumentato del 50% negli ultimi 110 anni.
Siamo dunque vicini al Big One, tema ricorrente del catastrofismo hollywoodiano? Secondo l'US Geological Survey, si direbbe di no. L'istituto riconosce che l'aumento statistico del numero di terremoti negli ultimi anni è (almeno in parte) dovuto all'ausilio di migliori rilevazioni. Prima molti fenomeni non erano rilevati perché colpivano zone remote o che comunque sfuggivano ad una adeguata misurazione: pensiamo ad esempio ai terremoti sottomarini. Il miglioramento dei sistemi di monitoraggio e prevenzione dopo il maremoto del 2004 ha permesso di tracciare un quadro più fedele delle attività geologiche in corso. In altre parole, con l'aumento e la migliore distribuzione dei sismografi, è statisticamente aumentato il numero dei terremoti.
Resta il fatto che i Paesi affiancati o attraverati da questa linea così turbolenta corrono rischi molto seri. Gli effetti dei cataclismi in Indonesia nel 2004 e in Giappone nello scorso anno sono ancora ben impressi nella nostra memoria, ma soprattutto in quella di coloro che li hanno subiti. Considerato che le calamità naturali non si possono evitare né prevedere, a fare la differenza tra una piccola e una grande tragedia è soprattutto la nostra capacità di prevenzione. E nonostante questo l'impatto degli eventi, in ogni caso, può sempre superare qualsiasi diligenza o cautela (Fukushima docet), fino a vanificarle.
La domanda non è se o quando, ma come.

TERREMOTO GLOBALE IN ATTO



Un disturbo sismico globale viene registrato dalla rete di monitoraggio dell'USGS,l'istituto di sorveglianza geologica degli Stati Uniti,il pianeta nelle ultime 24 ore e' stato investito da uno sciame di potenti terremoti che hanno colpito a macchia di leopardo lungo le maggiori linee di faglia della Terra.


I geologi ammettono di essere sconcertati dallo slittamento delle faglie avvenute nel fondale marino di Sumatra,uno spostamento laterale che ha scatenato l'imponente sisma di magnitudo 8,9 che ha procurato un effetto domino che si sta riverberando ancora in questo momento.Le zone a maggiore rischio sismico devono stare in allerta! in particolare lungo le coste del Messico,California,Giappone,Cile,Peru',Nuova Zelanda,Indonesia.

Big One

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
bussola Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi The Big One.
The Big One ("quello grosso", come viene chiamato negli Usa) è il nome dato ad un possibile futuro terremoto che potrebbe essere uno dei più potenti mai verificatisi negli Stati Uniti, superiore al settimo grado della Scala Richter. Questo terremoto potrebbe scatenarsi come conseguenza dell'elevato accumulo di energia nella Faglia di Sant'Andrea, che attraversa la California per 1300 km e si trova tra la placca nordamericana e la placca pacifica, che scorrono in senso opposto. La faglia passa vicino a molte città, tra cui San Francisco e Los Angeles, che sarebbero messe in forte pericolo dal Big One.
Alcuni studi realizzati nel 2005 affermano che le probabilità che il Big One colpisca la California entro 30 anni a partire dalla data dello studio sono molto alte.

Indice

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Studi e previsioni sul Big One [modifica]

In California, a causa della sua posizione sopra la faglia di Sant'Andrea, si verificano molto spesso terremoti, anche di forte intensità. Ciò è dovuto ai continui slittamenti tra le due placche tra le quali la faglia si trova, che trovando l'attrito delle rocce causano un grande accumulo di energia; quando questa supera l'attrito delle rocce viene liberata in superficie sotto forma di forti scosse sismiche.
Sono invece meno frequenti terremoti di grande intensità, cioè di magnitudo pari o superiore al 7° della Scala Richter. Ne sono esempi recenti il terremoto di Fort Tejon (poco a sud di Parkfield) nel 1857, di magnitudo 8, e il terremoto di San Francisco, nel 1906, di magnitudo 8,3.
I più recenti terremoti di grande intensità che si sono verificati lungo la faglia sono localizzati nel segmento settentrionale e nel segmento centrale. Nel segmento meridionale invece non si verificano terremoti di intensità maggiore del 7° della scala Richter da quasi 300 anni. Ed è proprio in questa zona che è previsto “l’arrivo del Big One”.
Uno studio del geofisico Yuri Fialko, dello Scripps Institute of Oceanography a La Jolla, CA (Usa)[1], ha dimostrato che la faglia di Sant'Andrea ha accumulato nel corso di questi anni un'energia sufficiente a scatenare il prossimo Big One, un terremoto simile ai grandi terremoti del passato, di magnitudo 7 o anche superiore.
Questo studio afferma anche che il rischio più alto sarebbe per la zona meridionale della faglia. Infatti per trovare tracce di un grande sisma avvenuto nella California meridionale bisogna risalire al 1680. Per questo motivo l'energia che si è accumulata in questo tratto è talmente elevata da accrescere la probabilità dell'arrivo di un imminente e violento terremoto.
L'energia che si è accumulata nel corso degli anni a causa dello slittamento delle placche avrebbe dovuto causare un movimento lungo il segmento meridionale della faglia di circa 7 metri negli ultimi 250 anni. Se questo fosse accaduto l'energia avrebbe potuto liberarsi “a piccole dosi” attraverso terremoti di intensità minore. Dato che ciò non è accaduto e che questa pressione non può essere accumulata all'infinito, c'è da aspettarsi che quando l'energia verrà liberata tutta di colpo sarà devastante.
Le previsioni su quando effettivamente ciò avverrà non possono essere fatte con certezza. I ricercatori, nel 2005, affermarono però che un terremoto di intensità 6,7° della Scala Richter, pari a quello che colpì Los Angeles nel 1994, o più grande, avrebbe colpito entro i successivi 30 anni, con il 99% delle possibilità. La probabilità questo terremoto sia catastrofico è invece del 46%, cioè che abbia intensità superiore a 7,5° della Scala Richter, circa 10 volte superiore a quello del 1994 (bisogna considerare che la Scala Richter è logaritmica, quindi un terremoto 7,7 è 10 volte più intenso di uno 6,7). In particolare la probabilità che il Big One colpisca di nuovo Los Angeles è del 67%, che colpisca invece San Francisco del 63%.[2]

I possibili effetti [modifica]

Dallo stesso studio, Yuri Fialko ha previsto che il Big One potrebbe avere un'energia sufficiente a far slittare i due labbri della faglia anche di 10 metri, quindi le conseguenze potrebbero essere peggiori rispetto al passato, quando il grande terremoto di San Francisco fece scivolare la faglia di circa 6,4 metri. Ecco perché si teme che il Big One possa essere il più grande terremoto mai registrato dall'uomo.
Se Big One colpisse l’area indicata con maggiore probabilità dagli studi, e con intensità maggiore di 6,7°, potrebbe distruggere Palm Springs e molte città nelle regioni di San Bernardino e Riverside, in California. Gli effetti potrebbero essere molto gravi per tutta la California meridionale, incluse le grandi metropoli e le aree molto popolate di Los Angeles, Orange County, San Diego e Tijuana.
Nell'immaginario popolare si pensa al Big One come al terremoto in grado di separare la California dal continente: tuttavia questo scenario, presentato nel romanzo "Last Days of the Late, Great State of California" [3] , essendo la faglia di Sant'Andrea di tipo trascorrente, non è plausibile.

Studi su come prevedere i terremoti e il Big One [modifica]

Gli studiosi affermano che con le tecnologie al momento disponibili non è ancora possibile prevedere con esattezza quando avverrà un sisma in una certa zona, anche se è possibile stabilire all'incirca dove accadrà. Questo è possibile basandosi sullo studio delle zone della Terra più a rischio, cioè le numerose faglie presenti lungo tutta la crosta terrestre, per esempio la Faglia di Sant'Andrea, e sul calcolo dell'energia accumulata nel sottosuolo di queste aree.
Ci sono però alcuni fattori che si possono considerare come segni premonitori, come accade già per lo studio di altri fenomeni, come le eruzioni vulcaniche.
Un terremoto nasce da una frattura che si propaga nelle rocce del sottosuolo, quando l'energia di deformazione, accumulata per anni, supera la resistenza delle rocce.
Prima che la frattura si propaghi fino alla superficie, questa altera alcune proprietà delle rocce, oppure può provocare fratture minori dalle quali vengono liberati dei gas, come il Radon, o ci possono essere alcune scosse di minore intensità.
Dall'analisi di tutti questi fattori si potrebbe, in teoria, prevedere quando un terremoto è vicino a manifestarsi. In pratica però non è così semplice, perché ad esempio le fuoriuscite di gas possono essere provocate da altre cause.
Allo stato attuale delle conoscenze non è possibile realizzare una previsione deterministica dei terremoti che indichi in modo esatto la localizzazione, l'istante e la forza dell'evento.
La scienza prevede che un eventuale metodo abbia valore solo se può essere applicato sempre nello stesso modo in una serie di eventi. I grandi terremoti non si verificano spesso, e non è dunque facile capire se ogni volta sono in gioco gli stessi fattori.
Altre previsioni vengono basate sullo studio dell'intervallo temporale dei sismi passati. Questo tipo di previsione fu applicata anche per prevedere l'arrivo di un terremoto a Parkfield, nel tratto centrale della faglia di Sant'Andrea. I sismologi l'avevano predetto, sbagliando, per il 1993, basandosi sull'intervallo temporale dei sismi passati (1857, 1881, 1901, 1922, 1934, 1966), che vedeva prodursi nella zona un terremoto ogni 22 anni. La previsione fu errata ma l'intensità e la zona dove sarebbe dovuto avvenire fu giusta. Il terremoto si verificò nel 2004 con un magnitudo 6,6° Richter.
Anche per le previsioni del Big One sono in corso molti studi, sia per prevedere con più precisione il momento in cui il terremoto si scatenerà, sia per cercare un modo per limitarne i danni. Yuri Fialko ha studiato la faglia attraverso la strumentazione piazzata direttamente lungo la faglia e basandosi su dati raccolti a partire dal 1985 da due satelliti Gps dell'agenzia spaziale europea, che hanno fornito informazioni sui movimenti del sottosuolo con estrema precisione, permettendogli di metterli in relazione con l'accumulo di energia.
Un altro progetto avviato in California nel 2004 dallo US Geological Survey ha consentito di raggiungere la frattura. L'obiettivo è quello di cercare di fornire invece strumenti per limitare i danni. Questo studio, chiamato La trivella di Safod (San Andreas Fault Observatory at Depth), sta studiando le proprietà delle rocce nel sottosuolo, nelle vicinanze della città di Parkfield. Questa città si trova lungo il segmento centrale della Faglia di Sant'Andrea, ma è una tra le poche zone lungo la faglia che solitamente sono risparmiate da grandi e frequenti terremoti. Proprio per questa stranezza l'area è sede della ricerca.
Le ipotesi formulate sono molte, ma sono tutte basate sul fatto che in quel frammento della frattura ci sarebbe, tra le due placche, una specie di lubrificante che attutisce i movimenti opposti. La trivella di Safod è arrivata a scavare fino al cuore della faglia, a 3200 metri di profondità e ha portato in superficie i primi campioni di rocce, permettendo di ottenere nuove conoscenze sulla composizione e sulla struttura di quel tratto della faglia.
Pare che in questo punto si trovino silicati gelatinosi, talco, acqua e altro. I primi risultati sono stati presentati alla Fondazione Ettore Majorana di Erice, nel corso della Euroconferenza sulla fisica delle rocce e geomeccanica, e potrebbero aiutare a capire dove potrebbero esserci i maggiori rischi lungo tutta la faglia.
Grazie a questi studi e alle moderne tecnologie di laboratorio, sarà possibile, riprodurre le forze agenti sul materiale rappresentativo di faglia e determinarne l'attrito e le proprietà fisico-chimiche delle sue rocce. Inoltre sarà possibile misurare direttamente nel cuore della faglia le forze agenti e le interazioni tra i fluidi in pressione che si trovano in profondità.

Gli orsi impazziti di Yellowstone

04/04/2012 - In America i grandi plantigradi hanno preso ad attaccare gli esseri umani: le contromisure sono drastiche

Gli orsi Grizzly, marchio distintivo del parco di Yellowstone, nel profondo Wyoming, hanno fatto fantasticare e sognare molti bambini; i cartoni animati di Yogi che si svolgono proprio qui li hanno trasformati in animali carini e con un che di “coccoloso”, per così dire. E invece, pare che i Grizzly di Yellowstone stiano diventando più un problema che altro.
EMERGENZA ORSI - Attaccano gli umani. Ed essere attaccati da un colosso di pelo e muscoli con zanne ed artigli affilati non è un’esperienza che un essere umano possa raccontare. In quella che si sta tramutando, velocemente, in un’emergenza, i rangers di Yellowstone a volte sono costretti a trasformarsi in carnefici. Slate ha un racconto completo della crisi degli orsi nel parco più famoso degli Stati Uniti, di cui Boing Boing ci presenta un’estratto. “L’eutanasia dell’orso noto come la Wapiti è stata il culmine degli orribili eventi che hanno terrorizzato Yellowstone per mesi, generando un’indagine che è andata avanti per mesi e ha allarmato i ranger, i visitatori e i biologi conservazionisti incaricati di tenere gli orsi al sicuro”.
CONTRADDIZIONI - Gli orsi hanno ucciso, in “più incidenti fra luglio ed agosto”, degli avventori e dei visitatori. L’orsa è stata abbattuta, il che è stato un evento abbastanza simbolico per chi si occupa tutti i giorni di convivere con questi maestosi animali: “Nei casi più dolorosi”, scrive Boing Boint, “le persone che proteggono questi animali sublimi e in pericolo di estinzione li devono anche uccidere”. Il racconto della donna che ha passato la notte a Yellowstone con il marito in una tenda ed è stata attaccata da un’orso alle 2 di notte è praticamente quello di un film dell’orrore.

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