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martedì 3 giugno 2008

Prima del cataclisma

Le supernovae di tipo Ia sono particolarmente care agli astronomi. La loro regolarità - sembrano quasi fatte con lo stampino - le rende infatti perfette candele campione per gli studi cosmologici. A dispetto della loro importanza, i meccanismi che governano l’innesco di queste incredibili esplosioni sono noti solo a grandi linee: sappiamo che a esplodere è una nana bianca che, per aver voracemente risucchiato materiale stellare a una compagna, raggiunge una massa critica, ma delle fasi che precedono l’evento si sa ancora troppo poco.

Un notevole contributo a chiarire il mistero è venuto da uno studio pubblicato in luglio su Science Express, la versione online di Science, da un team coordinato dal nostro Ferdinando Patat (ESO). Patat e i suoi collaboratori hanno preso di mira SN 2006X, una supernova esplosa lo scorso anno nella galassia M100, raccogliendo quante più informazioni possibili. Tanto per cominciare hanno messo all’opera UVES, lo spettrografo che equipaggia il VLT, che ha loro assicurato quattro set di dati su un arco di quattro mesi di osservazioni.

A questi hanno aggiunto un’ulteriore osservazione effettuata con il Keck Telescope, i dati radio raccolti grazie alle antenne del Very Large Array del NRAO e le immagini acquisite dal telescopio spaziale Hubble. Una quantità di dati davvero notevole, tanto che Patat ha commentato: “Nessuna supernova di tipo Ia è mai stata osservata con tale livello di dettaglio per oltre quattro mesi dalla sua esplosione.”

Il bello è che la quantità dei dati si è accompagnata alla loro qualità, permettendo agli astronomi di ottenere un quadro abbastanza dettagliato di ciò che è avvenuto dalle parti di SN 2006X prima del botto. Le osservazioni hanno mostrato evidenti variazioni indotte dall’esplosione sui materiali rilasciati prima del cataclisma dalla stella compagna della futura supernova e gli astronomi hanno potuto ricostruire l’esistenza di numerosi gusci gassosi in espansione a circa 50 km/s, una velocità tipica del vento stellare prodotto dalle giganti rosse.

Il sistema di SN 2006X, dunque, era con molta probabilità costituito da una gigante rossa e da una nana bianca che, senza ritegno, assorbiva parte del materiale soffiato nello spazio dalla gigante. Raggiunta la massa critica, la nana bianca ha fatto il botto e ora vediamo l’onda d’urto dell’esplosione che interagisce con i gusci di materiale espulsi dalla gigante rossa decine di anni prima permettendoci di individuarli.

Lecito chiedersi se SN 2006X sia un caso a sé stante o ci racconti ciò che avviene di solito con le supernovae di tipo Ia. Patat un’idea in proposito ce l’ha: “Questa supernova non ha mostrato nessuna peculiarità ottica nè ultravioletta nè radio - spiega - dunque tutto ci porta a concludere che quello che abbiamo sotto gli occhi potrebbe proprio essere il meccanismo tipico di una supernova Ia. La certezza, comunque, la potranno dare solo nuove oservazioni simili alla nostra.”

La cautela è giustamente d’obbligo, ma l’impressione è che il lavoro di Patat e collaboratori sia incredibilmente importante. Complimenti.


Fonte
: Coelum

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