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martedì 28 aprile 2009

L´ombra (sempre più) lunga e infetta del bestiame avanza


Il Giornale Onlinedi Lucia Venturi

E’ scattato in questi giorni l’allarme a livello mondiale per la paura di una nuova epidemia, questa volta sostenuta da un virus che generalmente alberga nei suini.
E’ un virus portatore di sintomi influenzali e dato che dai suini si sviluppa ha preso il nome di febbre suina o porcina e i primi casi acclarati con esiti letali sono partiti da Città del Messico.

Sarebbero infatti già più di 100 le vittime e oltre un migliaio i contagiati in Messico, ma l’allerta si è già diffusa nello Stato di New York, che ha con il paese sudamericano il confine più esteso, e la paura è già arrivata oltreoceano.

Sarà l’ennesimo caso che mieterà più vittime per il panico che non per la malattia? E che determinerà disequilibri economici tra chi commercia prodotti che vengono immediatamente messi all’indice (impropriamente) come untori e chi commercia invece i rimedi (quasi sempre inutili) per non imbattersi nell’agente infettante?

Sta di fatto che le notizie viaggiano nel mondo globalizzato a velocità anche maggiore di quanto non facciano i virus, che ormai non conoscono più i confini naturali dati un tempo dai mari e dalle grandi distese di terre emerse e che spesso può più la paura che non il microbo incriminato.

Ma c’è da chiedersi comunque il motivo per cui si inneschino a intervalli più o meno regolari emergenze e riemergenze per il rischio di epidemie o ormai (in virtù della globalizzazione) di pandemie.

L´emergenza e la riemergenza di malattie infettive è influenzata, tra gli altri fattori, dalla genetica degli agenti infettivi, da quella delle specie ospiti e di quelle potenzialmente ospiti, da fattori ecologici quali l´intrusione in ambienti e la modificazione degli ambienti stessi, l´aumento e la sempre maggiore velocità delle movimentazioni di uomini, animali, prodotti di origine animale, che creano nuove interfacce tra le comunità animali allo stato libero, con la loro biodiversità, e le comunità agricolo-urbane con la loro relativa omogeneità genetica ed alta densità di popolazioni umane, di animali domestici, di vegetali. E con le pratiche sempre più diffuse di allevamenti intensivi.

Riguardo al caso dell’influenza suina, i recenti studi di biologia molecolare attribuiscono al suino un ruolo importante in quanto rappresenta una specie nella quale si sono stabiliti, e ne hanno fatto il loro serbatoio, virus influenzali che hanno circolato nell’uomo.

E’ inoltre il solo ospite naturale del virus dell’influenza che, per la presenza di particolari recettori, può essere infettato da virus di origine umana e aviare oltre che, naturalmente, da quelli propri.
Per questo motivo il suino viene considerato un contenitore di rimescolamento genetico, ovvero un organismo nel quale, nel corso di infezioni multiple da parte di virus influenzali diversi e di diversa origine animale, i geni virali possano mescolarsi tra di loro dando origine a degli ibridi.

Un fenomeno che porterebbe alla creazioni di varianti virali, ovvero di organismi in cui sono avvenute mutazioni genetiche, che li rendono, ad esempio, più aggressivi per l’uomo.

In un ospite infetto la carica virale ha infatti una componente statica ed una componente dinamica; la prima può essere considerata dal numero totale di particelle virali presenti, la seconda dal numero e tipo di genomi mutanti presenti sul totale, che si producono con una certa frequenza; è però evidente che se aumenta la popolazione che può ospitare il numero degli agenti infetti, il numero di questi aumenterà di conseguenza e maggiore diventerà la frequenza con cui le mutazioni potranno compiersi e quindi la probabilità che fra questi si selezionino agenti più virulenti, sia per l’animale che fa da serbatoio, in questo caso il suino, sia per quelli che possono essere attraverso di lui contagiati, in questo caso l’uomo.

Riguardo all’influenza suina, la maggior parte dei virus più pericolosi, sempre in riferimento all´uomo, sembra essere stata acquisita nel momento in cui la popolazione, con l´inizio delle attività agro-zootecniche, è diventata stanziale ed è aumentato il numero di individui presenti nell´unità di spazio. A questo va aggiunto il fatto che si è instaurato un più stretto e continuo contatto con gli animali, dovuto all´espandersi degli allevamenti stessi.

In questo modo si può prevedere che una perturbazione nelle interazioni ecologiche che aumenti il contatto tra specie in precedenza isolate (intrusione umana in nuovi habitat, disboscamento, stanzializzazione di popolazioni, ma anche introduzione di specie esotiche in nuovi territori) possa incrementare il rischio di esposizione ad agenti persistenti, e la possibilità che questi possano diventare agenti acuti per nuove specie.

Prima di farsi prendere dal panico, bisognerebbe quindi ripensare a questo modello, che non ha niente di sostenibile, né per l’ambiente, né per gli animali, né per l’uomo.

Fonte:

http://www.altrogiornale.org/news.php

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