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lunedì 21 settembre 2009

Il *Libro dei Morti* Egiziano



Il *Libro dei Morti* è una raccolta di formule magiche, preghiere e incantesimi. Veniva deposto nella tomba come viatico per l'aldilà. Il rituale ebbe il suo nome da Richard Lepsius, a Torino, nel 1842. Gli egizi, invece, lo chiamavano *Formule dell'uscire al giorno*, poter ritornare a vedere la luce del giorno fuori dalle tenebre del sepolcro era la massima aspirazione, per loro. Del resto il nome dato dagli arabi in Egitto a qualsiasi rotolo di papiro rinvenuto nelle tombe era *Kitab el-Mayytun*, che letteralmente significa proprio *Libro dei Morti*, quindi questo epiteto era piuttosto comune.

Il *Libro dei Morti* fu redatto a Tebe all'inizio del Nuovo Regno (XVIII dinastia, 1540 a.C.) e divenne un simbolo di questo periodo della storia egiziana. Il rituale ebbe fortuna tra diversi strati sociali, trasferito su rotoli di papiro o di cuoio, ma anche sulle pareti delle tombe e sugli stessi sarcofahi.

Il *Libro* è composto di 192 capitoli. I vari documenti magici sono accompagnati anche da illustrazioni. Le formule non hanno una coesione logica, forse perchè di provenienza diversa e raccolte senza tener conto di una consequenzialità. Gli egiziani, però, contrariamente, in questo, a noi, non badavano tanto alla consequenzialità, quanto al valore ed all'efficacia delle formule. Quest'efficacia era data dalla forza immediata della parola, del testo. Una semplice conoscenza della formula, la rendeva reale.

Gli studiosi hanno diviso convenzionalmente *Libro dei Morti* in cinque parti. La prima grande sezione, chiamata *il cammino verso la necropoli*, presenta il cammino del corteo funebre verso la necropoli. Il capitolo più importante di questa sezione è il primo, nel quale si possono leggere le preghiere alle divinità dell'aldilà (gli egiziani lo chiamavano *duat*), affinchè il defunto potesse avere una buona accoglienza.

Certamente la parte più raffigurata e riprodotta (e per questo più conosciuta) è, nell'ambito della terza sezione (*Uscita al giorno: la trasfigurazione*) il momento in cui il defunto, accompagnato dalla sua guida Anubi, entrava nella *sala delle due Maat* del tribunale di Osiride, per affrontare, alla presenza di 42 giudici, la *psicostasia*, la pesatura del cuore. Il cuore, infatti, per gli antichi Egizi era il luogo in cui si concentravano tutte le facoltà intellettive e di coscienza (infatti, quando si svolgeva la mummificazione, il cervello veniva *scartato* perchè ritenuto inutile). Ciascuno dei 42 giudici aveva il compito di punire una data colpa (o peccato). Anubi, che fino a quel momento aveva fatto da guida e *consigliere* al defunto, poneva su un piatto della bilancia il cuore del defunto, mentre sull'altro veniva posta un'immagine di Maat, dea della rettitudine, o la piuma di struzzo che ne era il simbolo. Il dio Thot, con la testa di Ibis (Anubi aveva la testa di cane), sorvegliava la pesatura e registrava, al pari di un cancelliere, il risultato del giudizio. Nel frattempo il defunto recitava una lunga confessione negativa, assicurando i presenti di non aver commesso, in vita, alcun peccato (di solito li enumerava tutti con la formula *non ho peccato di...*). Se il cuore era puro non pesava, e la bilancia rimaneva in equilibrio. Il defunto veniva, a questo punto, proclamato da Osiride *retto* o *giusto di voce* e poteva accedere ai *Campi dei Giunchi*. Se, malaugaratamente, il cuore era più pesante perchè carico di peccati, la bilancia mostrava un peso maggiore dalla parte del cuore. Il defunto, allora, veniva divorato da un mostro ibrido, annullato per sempre egli cade nel *Luogo dell'annientamento*.

Il capitolo più importante della quinta parte (*Capitoli Supplementari*) è quello che contiene la *formula per non morire di nuovo*, che implica la distruzione delle stesse divinità, tranne Osiride ed Atum, il creatore. In questo capitolo compare per la prima volta *il peccato* commesso dai figli di Nut (Osiride, Seth, Iside e Nephti che insieme ad Horus furono in lotta costantemente). Proprio per questo Osiride era stato relegato nel duat, che era una sorta di purgatorio. In questo capitolo è riportato un monologo di Atum, in cui si allude alla fine del mondo. La terra, dopo milioni e milioni di anni, a seguito di un diluvio universale, diverrà nuovamente come in origine, un oceano primordiale, un'enorme distesa d'acqua. Vi rimarrà solo il dio Atum, il creatore, che si muterà poi in un serpente, che gli uomini non possono conoscere e gli dei non possono vedere. Questo serpente, come un tempo, si muoverà nel magma liquido. Atum tornerà ad essere l'increato, il caos.

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